
Ikigai, il privilegio oltre il metodo giapponese dello scopo di vita
Qualche anno fa mi sono imbattuta in questa enigmatica quanto affascinante parola giapponese IKIGAI che di fatto ho scoperto avere il significato de “la ragione per cui ci alziamo al mattino” ossia cosa ci fa muovere, quale sia il nostro scopo nella vita.
Sono rimasta inizialmente affascinata, così ho iniziato ad esplorare, a scoprire cosa ci fosse dietro quel “iki”esistenziale ed il “gai” come scopo dietro al quale si cela il senso della nostra esistenza.
Ho preso carta e penna ed ho iniziato a fare ordine seguendo il metodo pratico proposto, che di fatto è l’intersezione di 4 domande fondamentali:
- Ciò che ami fare
- Ciò che ti riesce bene, in cui sei bravo/a
- Ciò che può apportare il tuo contributo nel mondo
- Ciò che può portarti a guadagnarti da vivere.
Nell’intento di trovare un significato profondo all’esercizio, ho iniziato a dubitare delle stesse domande poste percependone i limiti e le opportunità nello stesso tempo, le cosiddette controversie, che fanno parte di quella complessità che oggigiorno facciamo fatica ad affrontare.
La complessità che prima di tutto è un allenamento, un esercizio di introspezione, un viaggio che decidiamo di intraprendere senza avere spesso una mappa o un percorso tracciato da seguire.
Una controversia insomma nell’epoca della bulimia dell’informazione, dove tutto o quasi è a portata di un clic.

Ciò che è emerso dal mio viaggio di speleologia interiore è scoprirmi fragile e vulnerabile nell’intersezione dei quattro elementi, specie a rileggere oggi quelle stesse domande in un momento di forte incertezza sociale, economica e direi di crisi culturale e spirituale dell’Occidente.
Credo che in molti, come me, si siano trovati e si trovino di fronte al “non saper rispondere” in quanto non si tratta solo di conoscersi in profondità, ma di un approccio educativo alla ricerca, all’introspezione, alla meditazione, ma soprattutto, all’ascolto di sé e dell’altro che abbiamo perso da troppo tempo ormai.
Proprio qualche anno fa Zygmunt Bauman, ci raccontò la scomparsa dell’introspezione: “L’introspezione è un’attività che sta scomparendo. Sempre più persone, quando si trovano a fronteggiare momenti di solitudine nella propria auto, per strada o alla cassa del supermercato, invece di raccogliere i pensieri controllano se ci sono messaggi sul cellulare per avere qualche brandello di evidenza che dimostri loro che qualcuno, da qualche parte, forse li vuole o ha bisogno di loro”.
Al di fuori dell’approccio con il quale ci poniamo e alla crisi spirituale che pervade il mondo Occidentale, ciò che il metodo giapponese non contempla è la base di partenza del soggetto, ossia l’humus nel quale esso si muove, la sua storia, le sue credenze e la base su cui poggia la sua stabilità economica, sociale e culturale.
Per quanto mi riguarda non è il metodo di per sé ad essere errato, bensì la presunzione occidentale di volerlo inserire all’interno del proprio contesto di privilegi acquisiti.

I nostri bisogni
Come esseri umani siamo portati a soddisfare una serie di bisogni come spiega Abraham Maslow nella sua piramide dei bisogni nella quale l’autorealizzazione è solo l’ultimo stadio dopo che i bisogni fondamentali sono stati pienamente soddisfatti; ossia quelli fisiologici, di sicurezza, appartenenza e stima.
Naturalmente il metodo proposto da Maslow ignora l’interazione con l’ambiente esterno, eppure evoca la necessità più o meno di tutti noi, nel soddisfare una serie di bisogni primari.
Bisogni di autorealizzazione che per una società capitalista come la nostra, in cui la concentrazione del potere e la generazione del profitto sono i pilastri su cui si fonda a sfavore di tutto il resto del mondo, sono diventati privilegi acquisti.
Figli del pensiero positivo, siamo stati per molto tempo indotti ad investire tempo nell’autorealizzazione tralasciandone gli aspetti legati a tutta una serie di parametri tra i quali non ultimi, le conseguenze che essi comportano a discapito di una parte di popolazione mondiale, che non ha soddisfatto nemmeno quelli fondamentali.

La concentrazione del potere economico nelle mani di pochi, l’invasione del “libero” mercato in ogni sfera immaginabile della nostra società, non ha fatto altro che accelerare la disuguaglianza ed ha reso l’Ikigai alla portata effettiva di pochi.
Eppure spesso e volentieri chi promuove l’Ikigai nella società dei consumi, non è pienamente consapevole dello stato di privilegio di cui gode, in quanto l’ambiente stesso in cui vive ha tutto l’interesse a promuovere il cosiddetto “pensiero positivo” e frasi motivazionali del “se vuoi, puoi”, tenendolo all’oscuro nell’allenamento alla complessità del sistema in cui vive.
Credo pertanto che il metodo giapponese, specie in una società sempre più disuguale come la nostra, sia limitativo e referenziato, in quanto vada inserito all’interno proprio di quella complessità che facciamo fatica a comprendere. Trattasi di allenare cuore e mente ad osservare la lacerazione venutasi a creare nella società dei consumi in questi decenni, che ha portato da una parte, chi può pienamente godere di un ventaglio di opportunità sia materiali che sociali, dall’altro chi invece è condizionato e quindi “invisibilmente ricattato/a” dalla schiavitù dei bisogni primari.
Nella legittimazione dell’egemonia occidentale, a fianco del pensiero positivo si è rafforzata la narrazione ingannevole che tutto ciò abbia a che fare con la libertà, quando sappiamo bene quanto purtroppo oggi questa si traduce spesso nell’asservimento di ogni sfera della nostra esistenza in favore del mercato e delle sue leggi spesso controverse legate al profitto.
Pertanto ciò che mi sento di esprimere, è che la libertà di cui crediamo di godere è una “libertà obbligatoria” (come cantava il grande Giorgio Gaber) e non ha nulla a che vedere con la libertà di determinarsi come soggetti nella nostra società, in quanto la cosiddetta ricchezza appartiene a pochi.
Quei pochi che di fatto godono appieno di quella libertà sostanziale preclusa a tutto il resto, nella quale l’Ikigai può diventare uno strumento di divulgazione del proprio privilegio.

Conclusione
Prima ancora di porci davanti all’esercizio dell’Ikigai, occorre a mio avviso domandarci a quanto siamo disposti a ripensare ad una redistribuzione del reddito in quanto trattasi di una questione non puramente economica ma anche sociale, affinché l’autorealizzazione diventi uno strumento che liberi gli individui dalla pressione dei bisogni primari innanzitutto.
Pertanto nel comprendere quali siano i nostri talenti, la nostra vocazione e l’impatto che questi possono generare, bisogna a mio parere personale interrogarci a livello di società dove vogliamo andare e ripensare al modello socio – economico con il quale siamo cresciuti finora.
Il tema è assai complesso in quanto implica dover ridefinire il senso di “crescita” e “ricchezza” stessa; spero sia solo un punto di partenza per una riflessione più profonda sia individuale che collettiva.
Ikigai.